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I moventi del collezionismo di Francesco Poli
15 Gennaio 2009 (tratto da: Arte come mestiere di Bruno Munari; Laterza editore; Bari 2009)
Dal punto di vista generale si possono distinguere, grosso modo, due tipi di collezionismo. Il primo, generico, si esercita su oggetti che di per sé non hanno alcun particolare valore culturale o venale, tra cui, per fare qualche esempio a caso, scatole di sigarette, tessere telefoniche, bottiglie di birra, modellini di autombili, animali in peluche ecc. Il secondo tipo di collezionismo, quello che ci interessa, è invece qualificato dal valore culturale ed econimico dell'oggetto collezionato, che va dai francobolli ai gioielli, dai libri rari alle opere d'arte.
Jean Braudillard definisce così i vari livelli di collezionismo:
"Lo stadio inferiore a quello dell'accumulazione di materiali: ammasso di vecchie carte, stoccaggio di alimenti, a metà strada fra l' introiezione orale e la retenzione anale. Dopo viene l'accumulazione seriale degli oggetti identici. La collezione vera si innalza verso la cultura: essa guarda agli oggetti differenziati che spesso hanno valore di scambio, che sono anche oggetti commerciali, facenti parte dei rituali sociali, e da esibire, forse sono anche fonti di profitto. Questi oggetti sono forniti di progetti. Senza cessare di rimandarsi gli uni agli altri, includono nel loro gioco l'esteriorità sociale e le relazioni umane".
Ciò che caratterizza quello d'arte come la forma più alta e sofisticata di collezionismo è la quantità e la qualità di significati intrinseci alla raccolta di oggetti, che si configura dunque come un patrimonio culturale oltre che economico. In effetti, l'attività collezionistica assume importanza sul piano socioculturale nella misura in cui non si esaurisce nel puro possesso di beni venali: il più significativo dell'oggetto collezionato è culturalmente elevato, più il suo valore economico risulta mascherato.
"Nel caso della collezione d'arte - scrive Giorgio Cesarano - il conflitto fra ragione comune e ragione iniziatica, ancorché in graduale regresso, basta da solo a investire di significati ricchissimi l'atto del collezionare. E' il caso forse più interessante dal punto di vista dell'autoinganno e del camuffamento delle motivazioni primarie. Il collezionista d'arte contemporanea si sente autorizzato a immaginare alcunché di messianico nel suo operato: sa o crede di sapere che la ragione storica, contro il buon senso volgare, è dalla sua; sa o crede di sapere che il suo è un servizio culturale".
Il collezionismo d'arte è probabilmente il più affascinante, ma anche il più ambiguo fra tutti i tipi di collezionismo (con i quali condivide comunque valenze fetiicistiche, più o meno accentuatte) poiché le motivazioni egoistiche si nascondono dietro una più «nobile» copertura culturale. A proposito delle motivazioni psicologiche profonde, è molto significativa questa impietosa analisi fatta dal grande anglista Mario Praz, per sua stessa ammissione collezionista «maniaco»:
"Sottoposta alla psicoanalisi, la figura del collezionista non ne esce bene, e dal punto di vista etico è certamente in lui qualcosa di profondamente egoistico e limitato, d gretto addirittura"
Alla base del desiderio di collezionare, che significa nel nostro caso vivere la cultura artistica essenzialmente attraverso il possesso degli oggetti, c'è un'esigenza di autoaffermazione della propria identità attraverso un processo continuo di reificazione dei valori artistici, che rivela da un lato l'impossibilità dell'autosufficienza e dall'altro l'irrealizzabilità della relazione appagante [...].
Scrive Francesca Molfino: "Nella collezione si incontrano, si accordano due sistemi, che assegnano i valori alla realtà, abitualmente distaccati e anche conflittuali: quello economico/razionale, basato sulla misurabilità e convertibilità in termini quantitativi di oggetti, e quello affettivo/passionale, basato sull'unicità e qualità «dell' oggetto mitico», quasi impossibile da convertire. Due sistemi governati da leggi diverse: il mondo economico si regola sulla necessità di quantificare gli scambi, di trovare metodi di misurazione equiparabilie condivisibili, per rendere i valori trasferibili, petibili e universali. Il mondo affettivo è invece fondato sull'illusione (viscerale o carnale) dell'eccezionalità, dell'insostituibilità. Questo secondo sistema è rappresentato dall'unicità, e da quello conseguente dell'autenticità dell'oggetto. E' sostanziale per il collezionista mettere insieme nell'oggetto il mondo delle passioni e quello più maneggevole dell'economia".
Può anche essere utile analizzare brevemente gli elementi più caratteristici dell'ideologia esplicita dei collezionisti.
In primo luogo, i moventi principali, quali il prestigio sociale e l'interesse economico, non sono quasi mai presenti, in forma dichiarata, nei loro discorsi.
In secondo luogo, si rileva il fatto che quasi tutti si rifiutano di essere classificati in qualche categoria speciica, nel senso che si considerano, in quanto collezionisti, come casi a parte. Si può poi notare che i più giustificano la nascita del loro interesse per l'arte con ragioni molto soggettive e il loro comportamento collezionistico in termini di passione disinteressata per la cultura, desiderio di soddisfazioni spirituali, bisogno di realizzarsi «creativamente» fuori dal'attività professionale (spesso troppo arida e alienante) ecc. I collezionisti di importanza maggiore, non di rado, amano essere considerati come «mecenati».
Questo tipo di giustificazioni rappresentano l'abito ufficiale che gli amatori d'arte indossano nei rapporti esterni in generale, all'intenro del loro ambiente di amici e conoscenti, e anche con chi li interroga sul significato e sulle soddisfazioni relative alla loro attività collezionistica. Questa facciata viene quasi sempre parzialmente o completamente abbandonata con gli «iniziati», vale a dire nei rapporti con mercanti, critici e altri collezionisti, essendo queste relazioni per lo più di acrattere «tecnico», con concreti risvolti economici.
Tuttavia, anche se l'aspetto ideologico si rivela maggiormente nei rapporti sociali formali, bisogna dire che, in un certo senso,spesso i collezionisti finiscono per autoconvincersi delle loro affermazioni mistificate, data l'esigenza, più o meno inconscia, di giustificare anche a se stessi il proprio comportamento con motivazioni più elevate, non riducibili alla sola ambizione sociale e all'interesse economico [...].
(in foto: Sarenco Io non dipingo, io vivo, 1976 Particolare del Collage 44 x 65 cm; Collezione Spagna Bellora)
Punto Linea Superficie [intro] Kandinskij
1 Gennaio 2009 (Da Punto Linea Superficie di Wassily Kandinskij; Adelphi edizioni; Milano 1968)
Ogni fenomeno può essere vissuto in due diverse maniere. Queste due maniere non sono arbitrarie, ma legate ai fenomeni - esse vengono derivate dalla natura dei fenomeni, da due loro proprietà: Esterno - Interno.
Si può osservare la strada stando dietro il vetro della finestra: i rumori ne vengono attutiti, i movimenti diventano fantomatici e la strada stessa appare, attraverso il vetro trasparente, ma saldo e duro, come una entità separata, che pulsi in un "al di là".
Oppure si apre la porta: si esce dall'isolamento, ci si immerge in questa entità, vi si diventa attivi e si partecipa a questo pulsare della vita con tutti i propri sensi. Le altezze e i ritmi dei suoni in continuo mutamento avvolgono gli uomini, salgono turbinosamente e cadono all'improvviso paralizzati. Allo stesso modo i movimenti avvolgono gli uomini, li circondano - un gioco di tratti e di linee orizzontali, verticali, che attraverso il movimento si volgono in direzioni diverse, macchie di colore che si ammucchiano e si disperdono, che danno un suono ora alto, ora profondo.
L'opera d'arte si rispecchia sulla superficie della coscienza. Essa sta al di là e si dilegua dalla superficie, senza lasciar traccia, appena scomparso lo stimolo. Anche in questo caso c'è una spacie di vetro trasparente, ma saldo e duro, che rende impossibile il diretto rapporto interno. An che qui abbiamo la possibilità di entrare nell'opera, di divenirne parte attiva e di vivere con tutti i sensi la pulsazione.
A prescindere dal suo valore scintifico, che dipende da un esame preciso dei singoli elementi artistici, l'analisi di questi ultimi è di per sé un ponte che ci introduce al pulsare interno dell'opera. L'opinione dominante fino a oggi, che sarebbe fatale «scomporre» l'arte, perchè questa scomposizione porterebbe inevitabilmente alla morte dell'arte, deriva dalla ignara sottovalutazione degli elementi in se stessi e delle loro forze primarie. In rapporto alle ricerche analitiche, la pittura, nei confronti delle altre arti, assume stranamente una posizione tutta particolare. L'architettura, per esempio, che è legata per sua natura a fini pratici, ha dovuto fondarsi fin dalle origini su certe conoscenze scientifiche. La musica, che non ha fini pratici (a prescindere dalla marcia e dal ballo) e che, fino ad oggi, si prestava solo alla creazione di opere astratte, possiede da lungo tempo la sua teoria, una scienza forse un pò unilaterale fino a questo momento, ma in costante sviluppo. Così queste de arti, fra loro agli antipodi,si trovano ad avere entrambe una base scientifica, e nessuno ne è scandalizzato. Se le altre arti sotto questo profilo, sono più o meno rimaste indietro, per giudicare il grado di queste differenze bisogna riportarsi al gradi di sviluppo d ciascuna delle arti stesse.
La pittura in modo particolare, nel corso degli ultimi decenni, ha fatto un favoloso salto in avanti, ma solo recentemente si è liberata del suo significato «pratico» e da alcune delle sue antecedenti possibilità di applicazione: solo ora è arrivata a un punto che esige, in modo assoluto, un esame preciso e puramente scientifico dei suoi mezzi pittorici, proprio in funzione del suo scopo pittorico. Non è possibile raggiungere stadi ulteriori di sviluppo in tale direzione senza questa verifica - né per l'artista, né per il «pubblico».
Possiamo asserire con tutta certezza che la pittura non è stata sempre così negletta come oggi; che certe conoscenze teoriche non esistevano solo in rapporto a problemi puramente tecnici, che una certa teoria della composizione poteva essere insegnata ed era insegnata al principiante, e che specialmente alcune conoscenze sugli elementi, la loro essenza e il loro uso erano per l'artista cosa generalmente nota.
Facendo eccezione per le ricette puramente tecniche (fondo, preparazioni, eccetera), che del resto sono state scoperte in gran parte solo una ventina di anni fa e, soprattutto in Germania, hanno avuto una certa importanza nello sviluppo dei colori, non c'è pervenuto quasi nulla delle conoscenze passate, che forse costituivano una scienza dell'arte altamente sviluppata. E' uno strano fatto che gli impressionisti, nella loro lotta contro l'«accademia», abbiano distrutto gli ultimi residui della teoria dell apittura, ma che essi stessi d'altra parte - nonostante la loro affermazione, secondo cui la natura sarebbe l'unica teoria per l'arte - abbiano posto immediatamente, anche se inconsapevolmente, la prima pietra della nuova scienza dell'arte.
Uno dei compiti più importanti della scinza dell'arte, ora ai suoi inizi, sarebbe da un lato l'analisi approfondita di tutta quanta la storia dell'arte, in rapporto agli elementi, alla costruzione e alla composizione in diverse epoche e presso popoli diversi; dall'altro, la descrizione dello sviluppo di questi tre problemi, ognuno nel suo ambito - la direzione, il ritmo, la necessità dell'arricchimento, di quello sviluppo, probabilemnte «a salti», che, nella storia dell'arte, segue forse una linea precisa, magari una linea ondulata. La prima parte di questo compito - l'analisi - confina coi compiti delle scienze «positive». La seconda parte - modalità dello sviluppo - confina coi compiti della filosofia. Qui si configura il punto nodale della normatività dello sviluppo umano in generale.
Dobbiamo accenare intanto, di sfuggita, al fatto che solamente con un grande sforzo noi possiamo riscoprire queste dimenticate conoscenze delle passate epoche artistiche, cosa che dovrebbe far mattere definitivamente da parte i timori per la «scomposizione» dell'arte. Perché, se le dottrine «morte» sono riposte così profondamente nelle opere viventi che possono essere portate alla luce solo con gran fatica, allora i loro effetti «dannosi» non sono altro che la paura dell'ignoranza.
Le ricerche, che debbono diventare la prima pietra della nuova scienza - scienza dell'arte - hanno due scopi e nascono da due necessità: 1. la necessità della scienza in generale, che deriva liberamente da uno slancio non-utilitario o extra-utilitario verso il sapere: la scienza «pura», e 2. la necessità dell'equilibrio nelle forze creative, che debbono essere divise in due parti schematiche - intuizione e calcolo: la scienza «pratica».
Queste ricerche devono essere codotte con grande sistematicità, sia perchè oggi ci troviamo proprio al loro inizio, sia perché esse ci si presentano oggi come un labirinto che procede in tutte le direzioni e sparisce in nebbie lontane; sia, infine, perché non siamo assolutamente in grado di abbracciare con lo sguardo il loro ulteriore sviluppo. Proprio per questo è necessario uno schema ben chiaro.
Il primo problema inivitabile è naturalmente quello degli elementi dell'arte, che sono il materiale da costruzione delle opere e che devono quindi essere diversi per ciascuna arte.
Ora dobbiamo distinguere, prima di tutto, gli elementi primari da altri elementi, cioè gli elementi senza i quali un'opera, in una determinata specie di arte, non può assolutamente nascere.
Gli altri elementi devono essere denominati elementi secondari.
Nell'uno e nell'altro caso è necessario stabilirne una graduatoria organica. [...]
L'investigazione dovrebbe procedere faticosamente, con estrema e pedantesca esattezza. In questo «noioso» cammino dovremmo avanzare passo per passo - non dovrebbe sfuggire all'occhio vigile la più piccola variazione nell'essenza, nelle proprietà, negli effetti dei singoli elementi. Solo su questa strada di analisi microscopica la scienza dell'arte condurrà a una sintesi completa che, alla fine si estenderà oltre i confini dell'arte, nel campo dell' «unità» dell' «umano» e del «divino». Questo è in definitiva, il fine prevedibile, ma esso è ancora ben lontano dall' «oggi».
Per quanto riguarda in particolare il mio compito in questa sede, non solo le mie forze non sono sufficienti a raggiungere almeno l'esattezza iniziale in maniera soddisfacente, ma me ne manca anche lo spazio - di fatto questo breve scritto ha l'unica intenzione di indcare, in generale e solo in linea di principio, gli elementi primari «grafici», sia 1. «in modo astratto», cioè isolato dall'ambiente reale della forma materiale della superficie materiale, sia 2. sulla superficie della materia stessa - le manifestazioni delle proprietà fondamentali di questa superficie.
Ma anche ciò può essere realizzato in questa sede solo nell'ambito di una ricerca piuttosto sommaria - come tentativo di trovare un metodo normale per le ricerche della scienza dell'arte, e per metterlo alla prova applicandolo.
(in foto Wassily Kandinskij)
L'Adorazione dei Magi di Brueghel e brevi passi degli Apocrifi sulla Natività
15 Dicembre 2008 (da I classici dell'arte: Brueghel; Rizzoli / Skira editori, Milano; 2004 - Da I Vangeli Apocrifi a cura di Marcello Craveri; Giulio Enaudi Editore, Treviso; 2004)
L'opera è probabilmente quella acquistata nel 1594 dall'arciduca Ernesto d'Asburgo e citata in un inventario del 1619 della collezione imperiale di Vienna. Nel 1900 passò, nella stessa città, in possesso di George Roth, e nel 1921 fu acquistata dalla galleria londinese.
Questo dipinto dell'artista fiammingo Brueghel è rilevante per due motivi: innanzitutto si tratta dell'unica tavola della sua produzione artistica in formato verticale, probabilmente perchè destinata ad una pala d'altare, ed è una delle poche in cui le figure hanno grandi dimensioni tanto da occupare l'intero spazio compositivo. Si è pensato alla ripresa dei modelli italiani e, in particolare per il Bambino, all'influenza che può avere esercitato sull'artista la Madonna di Bruges di Michelangelo (1503 - 1504). Tuttavia, il Bambino michelangiolesco è in piedi, mentre Brueghel è seduto e gli unici elementi di somiglianza sono la postura della mano e della testa, che però ricorre spesso anche in altri dipinti italiani del periodo. E' difficile quindi ricondurre la tavola di Brueghel ad un unico modello; si può ritenere più plausibile l'unione di di più elementi ricavati da tradizioni diverse in un unico insieme. I volti qui rappresentati riprendono le espressioni tipiche dei contadini del maestro: sbalordimento, ottusità, goffagine, ironia, sono i sentimenti che si alternano nella percezione di trovarsi di fronte a un avvenimento solenne a cui rivolgere sincera devozione. Stechow sostiene l'intenzione di Brueghel di inserire un riferimento alla peccaminosità degli uomini nel personaggio che parla all'orecchio di san Giuseppe: egli insinuerebbe all'anziano padre di Gesù dubbi sulla purezza di Maria.
L'abilità coloristica dell'artista fiammingo è ancora evidente nella capacità di equilibrare armoniosamente i rossi forti e i rossi delicati, il rosa, il verde, il nero, il grigio e il marrone; l'azzurro viene limitato all'abito della Vergine.
Vangelo dell' infanzia Armeno
Dopo un lunghissimo colloquio di Maria, titubante e sospettosa, con l'angelo dell'annunciazione, nella strana dottrina sostenuta nel secolo IV dal siriaco Efrem, Maria venne fecondata "per via auricolare".
Se è così come tu dici... - dice Maria all'angelo - avvenga di me secondo la tua parola!.
E l'Angelo sparisce.
9. Nel medesimo istante che la santa vergine diceva queste parole e si umiliava, il Verbo di Dio penetrò in lei attraverso l'orecchio, e la natura intima del suo corpo, da esso animata, venne santificata in tutti i suoi organi e i suoi sensi e purificata come l'oro dentro il crogiuolo. Ella divenne tempio sacro, immacolato, dimora della divinità.
Sulla perplessità di San Giuseppe ci viene in soccorso il Vangelo dello Pseudo-Matteo
2. Perché mi lusingate per farmi credere che un angelo del Signore l'ha ingravidata? Può darsi, infatti, che qualcuno si sia finto un angelo del Signore e l'abbia ingannata! - E dicendo questo piangeva, poi soggiungeva: - Con quale faccia me guarderò i sacerdoti di Dio? Che farò io mai? - E così dicendo meditava di andarsi a nascondere e di ripudiare lei.
Il Protovangelo di Giacomo descrive la nascità di Gesù con commovente lirismo:
I. Ma trovò là una grotta e ve la condusse dentro, lasciando presso di lei i suoi figli, ed egli uscì a cercare una levatrice ebrea nel paese di Betlemme.
2. E io Giuseppe stavo camminando, ed ecco non camminavo più. Guardai per aria e vidi che l'aria stava come attonita, guardai la volta del cielo e la vidi immobile e gli uccelli del cielo erano fermi. Guardai a terra e vidi posata lì una scodella e degli operai sdraiati intorno, con le mani nella scodella: e quelli che stavano masticando non masticavano più, e quelli che stavano prendendo del cibo non lo prendevano più, e quelli che stavano portandolo alla bocca non lo portavano più, ma i visi di tutti erano rivolti in alto. Ed ecco delle pecore erano condotte al pascolo, e non camminavano, ma stavao ferme; e il pastore alzava la mano per percuoterle col bastone, e la sua mano restava per aria. Guardai alla corrente del fiume e vidi che i capretti tenevano il muso appoggiato e non bevevano;...e insomma tutte le cose, in un momento, furono distratte dal loro corso.
(in foto: L'Adorazione dei Magi; olio su tavola cm 108 x 83;Londra, National Gallery)
Effemeridi sui Natali di Marcel Duchamp
1 Dicembre 2008 (da Marcel Duchamp, Jennifer Gough-Cooper, Jacques Caumont; Bompiani, Milano; 1993)
1907. Martedì, Parigi
Marcel ha realizzato una decorazione a incisione per il menù della cena della vigilia: una donna nuda seduta in un enorme bicchiere da champagne si porta alle labbra una bottiglia dalla quale escono le ultime gocce. Duchamp invita gli amici al numero 73 di RueCaulaincourt, il suo nuovo indirizzo da quando ha traslocato durante l'estate dal numero 65; offre loro ostriche, una scelta di antipasti seguita dal tradizionale tacchino ripieno, che costituisce la portata principale, quindi insalata e vari paté. I numerosi dolci sono preceduti dal "Plump pudding", che Marcel mette sempre in tavola per gli amici Tribout e Dumouchel in occasione del Natale. Vini, liquori e champagne vengono serviti in abbondanza.
I festeggiamenti impazzano per due giorni interi con grande costernazione dei vicini. Con il risultato che il contratto di affitto di Marcelal numero 73 ha vita breve: il padrone di casa gli dà un preavviso di sei mesi per andarsene.
1917. Lunedì, New York
"Buon Natale i miei migliori auguri prenditi cura di Mad", telegrafa Jean Crotti a Marcel.
Da quando Marcel le ha offerto ospitalità, Mad Turban si è stabilita al 33 West della 67esima Strada. Mentre Duchamp lavora per la missione francese, assicurandosi la puntualità ogni mattina grazie ad un efficiente quanto comlicato sistema di sveglia multipla costituito da piatti pieni di monetine, Mad presta la sua opera presso la Croce Rossa. La sera Marcel da lazioni di conversazione francese facendo uso dei suoi Lewis Carrol come libri di testo e presenta a Mad alcune sue allieve: Miss Dreir si insospettisce quando viene presentata come sua sorella Magdeleine...; una delle allieve più carine è Jane Acker, un'attrice che lavora per la Metro Picture. Luise Norton si unisce spesso a loro, insieme a Joseph Stella, per cenare in una delle varie trattorie del downtown. Inveriabilmente la serata si conclude nell'appartamento degli Arensberg, dove si gioca a scacchi fino alle prime ore del mattino.
1926. Venerdì, New York
"Bun Natale, cara MissRoullier", scrive Duchamp, confermando il suo arrivo a Chicago il 2 gennaio. "Se malgrado sia domenica, riuscisse a trovare un uomo per aprire le casse sarebbe perfetto ed io potrei lavorare molto domenica, pomeriggio e sera." Marcel ha deciso di spedire una casa in più, contenente una delle ultime opere di Brancusi: un uccello di bronzo, che sarà uno dei punti focali della mostra".
Pensando che non sia necesario per lui alloggiare in un albergo troppo caro, Duchamp aggiunge che conta su di lei per trovargli "un hotel di media categoria".
1942. New York
Stefy Kiesler ha lavorato tutto il giorno ai preparativi per la sua festa della vigilia, cui partecipano numerosi amici tra i quali Marcel, Matta, Louise ed Edgar Varèse, Robert Parker con sua mglie, Howard Putzel e Jhon Cage che verrà in compagnia di un balerino.
1946. Martedì, Parigi
"Penso sia imprudente affidare ancora qualcosa alla posta, così inaffidabile", consiglia Duchamp a Jean Brun, al quale promette di prendere accordi differenti non appena vedrà Matta a New York. Bellmer dovrebbe consegnare le sue cose a qualcuno che viene a Pargi "e questo qualcuno", spiega Duchamp, "le potrebbe consegnare a Mary Reynolds che farebbe il resto...".
1947. Mercoledì, Milford
Dopo la tempesta di neve di ieri, oggi, mentre "il sole splende, la neve brilla e non c'è un alito di vento", Dee arriva a Milford per pranzare assieme a Miss Dreier.
Miss Dreier ha appeso una ghirlanda natalizia alla porta della veranda che da sul giardino e ha disposto su un lungo tavolo il presepe cui fanno da sfondo alcuni rami di abete. Dal momento che di notte la stanza diventa molto fredda, ha anche deciso di iniziare i festeggiamenti natalizi alle cinque del pomeriggio, "proprio al crepuscolo".
Dopo il tacchino viene servito il piatto forte del "cenone della vigilia": "il plum pudding all'inglese che, ricoperto di brandy francese e zucchero, s'illumina di fiamme bluastre quando gli viene dato fuoco". Dee ha portato una mezza bottiglia di Veuve Cliquot del 1934 che Miss Dreier confessa di trovare ottimo.
"E' stato molto bello avere qui Dee", dice Miss Dreier a sua sorella Mary, "e il tuo regalo lo ha fatto molto felice. Come al solito abbiamo parlato molto di Arte. Lo trovo veramente molto profondo."
Quando Dee se ne va a dormire, Miss Dreier torna al pianoforte per intonare qualche canto natalizio.
1957. Mercoledì, New York
Duchamp riceve da Bob Hale un rubinetto finto come regalo di Natale e lo incolla al muro sopra il caminetto.
1962. Martedì, New York
Dal momento che il Museum des 20. Jahrhunderts di Vienna ha restituito la replica di Egouttoir dopo la chiusura della mostra "Kunstvon 1900 bisheute" il 4 novembre, Werner Hofman ha scritto a Duchamp per domandargli se possiede un'altra da esporre permanentemente nel museo. "Purtroppo possiedo solo quella replica", risponde Duchamp. "...Le suggerisco di comprare uno scolabottiglie a Parigi, al Bazar de l'Hotel de Ville...dove penso che abbiano ancora lo stesso modello."
(in foto: “Macinatrice di cioccolato”; 1914, Marcel Duchamp)
La permanenza delle idee, Man Ray
1 Novembre 2008 (da Duchamp,scritto di Man Ray per la traduzione di Maura Pizzorno; Rizzoli / Skira editori, Milano; 2004)
Dai giorni lontani dell'adolescenza, quando ancora andavo a scuola, o dopo, quando lavoravo sotto padrone, non ho più atteso con impazienza le vacanze. Dal momento in cui sono diventato, per così dire, il datore di lavoro di me stesso, mi sembra di essere sempre in vacanza. Né ho mai sentito il bisogno di cambiare ambiente per rinnovarmi. Quando mi assento per lunghi periodi, è per necessità, per completare un lavoro già avviato che mi chiama altrove, per un appuntamento, per motivi di famiglia. Così, in questo mese di agosto del 1961, sono seduto al caffè Meliton di Cadaqués, in Spagna, con il mio più vecchio amico, Marcel Duchamp, che per la prima volta venne al mio cottage del New Jersey nel 1915. Sul tavolo davanti a me ho la posta, appena rititara dall'ufficio postale. Sulla piccola pila di lettere, il libro di poesie di Georges Hugnet, un amico più recente. Il titolo è 1961. Visto alla rovescia, da dove sono seduto, il titolo è sempre 1961. Come rileva Hugnet, fino all'anno di grazia 6009 non sarà più possibile leggere una data alla rovescia. Comunque, noi ci occupiamo del presente, una forma di eternità; in questo momento, il tempo sembra segnare il passo. Scorro il libro, e una frase ferma la mia attenzione. In Francia l'esattore stabilisce le imposte in funzione di ciò che chiama i segni esteriori di ricchezza: un'automobile, una cameriera, una casa in campagna. Hugnet dice che i suoi segni di ricchezza sono tutti interiori.
A nessuno come a Marcel Duchamp la frase potrebbe meglio applicarsi. Duchamp non possiede nulla, non colleziona nulla. Se riceve in dono un libro, lo regala non appena lo ha scorso. Le sue rare opere si trovano per la maggio parte in un paio di musei o in una collezione privata. Da quando, quarant'anni fa, ha abbandonato la pittura, si può dire che la sua attività principale sia il gioco degli scacchi; e questo perché, pur mantenendo la mente attiva, gli scacchi non lasciano traccia, nenache della più intensa attività celebrale. Questo è stato il suo programma. L'elemento competitivo del gioco lo interessa meno dei suoi aspetti analitici e inventivi.
Quando per la prima volta mi stabilì in Francia, Duchamp tornò a New York, e per due anni non lo rividi; i nostri rapporti tuttavia ripresero subito al suo rientro a Parigi. Era l'ultimo anno delle manifestazioni dada, che provocarono nuove scissioni nel gruppo, fino a portare alla rottura definitiva e alla nascita del Surrealismo. I due gruppi tenevano in una certa stima Duchamp, ma non lo conoscevano gran che; non aveva mai partecipato alle loro attività, né frequentato i caffè dove si riunivano. Le sue prime opere erano sconosciute in Francia perché erano state spedite negli Stati Uniti. Come nel caso di Brancusi, solo pochi intimi erano consapevoli dell'importanza di Duchamp nell'arte contemporanea.
Nel 1923 tornò a Parigi, dove aveva intenzione di rimanere a lungo: il suo ritorno fu silenzioso, immerso nell'anonimato. Era più esule lui in Francia di quanto non lo fossi io dagli Stati Uniti. Ormai mi ero affermato come fotografo, ma di tanto in tanto facevo un quadro per mantenermi in esercizio e anche per non perdere i contatti con i movimenti artistici dell'epoca. Così un giorno decisi di fargli un ritratto a olio, ma, influenzato dalle numerose fotografie che gli avevo scattato, lo dipinsi in nero e seppia, a imitazione di una fotografia. Feci posare Duchamp un paio di volte per verificare certi tratti del volto, e sullo sfondo scuro introdussi motivi immaginari, perchè il quadro non risultasse troppo realista. Non era né un dipinto né una fotografia, e l'ambiguità mi piacque. Mi parve un giusto orientamento per la mia pittura.
Nei tre anni che trascorse a Parigi, Duchamp non restò inattivo: aveva rinunciato alla pittura, ma gli scacchi lo assorbivano sempre di più; dedicava molto tempo allo studio del gioco, e ne frequentava i vari circoli. Io restavo un giocatore di terz'ordine, uno scaricatore, come diceva Duchamp. Preferivo inventare nuove forme di scacchi, cosa che non interessava affatto ai giocatori, ma che era per me un fertile terreno di invenzione. Duchamp condivideva il mio onteresse perchè un tempo aveva fatto progetti simili, anche se poi li aveva abbandonati, assorbito com'era dal gioco. Un giorno venne a trovarmi con Alekhine, allora campione del mondo, perchè lo fotografassi e gli mostrassi i nuovi scacchi che avevo progettato. Gli piacquero, posò davanti ai pezzi e ci autorizzò a chiamarli con il suo nome, se mai fossero stati sfruttati commercialmente. Avevamo molte speranze che i miei scacchi sostituissero quelli di Staunton, che erano in uso a quell'epoca e rappresentavano già un certo progresso rispetto ai precedenti. Tuttavia, dopo inchieste e valutazioni varie, scoprimmo che era necessario un grosso capitale per la fabbricazione degli stampi e, siccome il successo era incerto, finimmo col rinunciare. Io continuai a fare pezzi unici per collezionisti e amatori che potevano permetterseli. Una volta una mia scacchiera fu esposta ad una mostra; tra il pubblico c'era un noto giocatore: dichiarò che vedendo i miei scacchi comprendeva appieno il vantaggio di giocare ad occhi bendati.
(Photo by Arnold Eagle: revisiting of Marcel Duchamp, with rotoreliefs, a still from Hans Richter's film Dreams That Money Can Buy, 1947)
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